Responsabilità del medico nella prescrizione di un farmaco

Criteri di tutela dell’atto medico prescrittivo

Il medico ha il compito di acquisire un valido consenso informato alle cure, rispettivamente prescritte e dispensate, per consentire agli assistiti una scelta realmente consapevole del farmaco attraverso un’informazione imparziale, esauriente e non ingannevole, finalizzata alla tutela prioritaria della salute.
Nella valutazione della responsabilità per la prescrizione di farmaci, il medico deve poter dimostrare che ha acquisito un valido consenso informato alla cura; che ha prescritto una cura idonea alla diagnosi accertata; che ha scelto tra le opzioni disponibili quella più sicura, efficace e idonea al caso; che ha escluso controindicazioni all’uso e interazioni potenzialmente pericolose con altre cure contemporaneamente assunte; che ha prescritto dosi corrette del farmaco e che ha monitorato il paziente per il rischio di comparsa di effetti collaterali per cui un’eventuale danno causato dal farmaco non è a lui imputabile, secondo la sentenza del 10 maggio 2001 della Corte di Giustizia della Comunità Europea in merito alla causa C203/997.
Infatti, i medici prescrivono farmaci la cui sicurezza ed efficacia viene garantita dall’AIFA che ne autorizza l’immissione in commercio, con la conseguenza che se poi il farmaco risulta imperfetto (art. 443 CP; sentenza n.4314/1979 della Cassazione) o contraffatto (art.440 CP) ne risponde il produttore, sempre qualora il medico riesca a provare di averlo prescritto correttamente. Se invece il medicinale risulta essere scaduto ne risponde chi aveva il dovere di vigilanza e conservazione (sentenze n.1681/1983 e n.1707/1989 della Cassazione).
Nella farmaco-prescrizione i medici sono riluttanti all’uso del timbro con l’indicazione “non sostituibile” che può apparire come una volontà di preferire un determinato produttore, pur avendo essi la percezione che i farmaci equivalenti in commercio non sono tutti ugualmente intercambiabili e che le sostituzioni di confezioni diverse nel tempo dello stesso principio attivo possano aumentare il rischio di assunzioni incongrue di farmaci potenzialmente dannose. Tuttavia, scegliendo di omettere l’annotazione “non sostituibile”, i medici spesso sono preoccupati di assumersi le responsabilità per eventuali danni lamentati dagli assistiti e derivanti della dispensazione di farmaci di cui la bioequivalenza non è accertata, contenenti altri eccipienti e comunque diversi dal farmaco da loro prescritto o in uso abituale dell’assistito.
Una soluzione per evitare in giudizio l’accusa di non aver apposto l’annotazione “non sostituibile” a tutela dell’assistito in caso di danno riferibile al generico dispensato in sostituzione dal farmacista, è quella di apporre invece l’annotazione “sostituibile con farmaco equivalente per principi attivi ed eccipienti ”. Così il medico dimostra la propria chiara volontà di prescrizione a tutela dell’assistito, senza favorire col timbro “non sostituibile” un marchio in particolare e inoltre, senza assumersi la responsabilità per la dispensazione discrezionale operata in farmacia di medicinali generici della cui qualità e bioequivalenza il medico non ha esperienza diretta o ha avuto esperienza negativa. Il medico ha infatti piena facoltà di dettagliare la propria prescrizione sulla ricetta e questa nuova annotazione non è vietata da alcuna norma, il farmacista ad essa si deve uniformare, assumendosi una responsabilità personale in caso di dispensazione difforme dalla prescrizione medica.
Il medico convenzionato ha anche un dovere deontologico (art.13) e contrattuale già secondo l’ACN 2005 (art.27) di contribuire all’uso razionale delle risorse del SSN mediante una prescrizione appropriata, salvaguardando però il prioritario dovere di tutela della salute dell’assistito del SSN e il diritto alla prescrizione dei farmaci necessari e indispensabili con onere a carico del SSN ai sensi dell’art. 28,comma 2, della legge n.833/1978, secondo la sentenza della Cassazione Penale a Sezioni Unite n.6752 del 07.06.1988.
Il governo con DPCM del 29 novembre 2001 ha affidato alle Regioni il compito di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), di razionalizzare la spesa sanitaria e di controllare le prescrizioni farmaceutiche, come previsto dall’art. 50 del D.L. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito dalla legge n. 326/2003.
La prescrizione farmaceutica a carico del Ssn viene rilasciata dal medico sul ricettario regionale il cui uso è regolamentato dal Decreto del 18 maggio 2004 in GU n. 251 del 25 ottobre 2004.
I rapporti tra ASL e medico convenzionato sono disciplinati da un contratto di diritto privato per cui l’ASL non puòesercitare alcun potere autoritativo sul medico, aldi fuori di quello di sorveglianza. secondo le sentenze n. 16219/2001, n. 10960/2001, n. 813/1999 e n. 922/1999 della Cassazione a Sezioni Unite e n.34460/2003 della Cassazione sez. Penale IV. Poiché la pratica terapeutica si fonda sulle acquisizioni scientifiche che sono in continua evoluzione, la regola è costituita dalla responsabilità del medico che si fonda sull’autonomia del giudizio clinico di operare nel caso specifico le scelte sulla base delle conoscenze a disposizione, secondo la sentenza n.282 del 11 giugno 2002 della Corte Costituzionale. Non è sufficiente per il medico dimostrare di aver prescritto una cura idonea alla malattia, ma deve dimostrare in caso didanno che ha scelto tra le opzioni di cura disponibili quella più sicura per il paziente. Infatti la sentenza n.8875 del 08.09.1998 della Cassazione sezione Penale III° ha affermato : è considerata colposa la condotta del medico che prescrive, pur con diligenza, una terapia implicante maggiori rischi per il paziente, se concretizzatasi poi in un danno, in quanto ha scartato altre opzioni terapeutiche idonee alla condizione clinica specifica e tali da evitare il determinarsi dell’evento dannoso.
Va rilevato infetti che gli studi clinici di norma valutano popolazioni, mentre il medico cura singoli pazienti (NEJM 2003, 348 : 639-641). Il giudizio clinico del medico deve considerare le variabili del singolo caso, poiché le linee guida non sono percorsi a prova di errore : seguirle non esonera da responsabilità e non seguirle non equivale a responsabilità in quanto la realtà clinica delle diverse condizioni individuali determina la scelta terapeutica autonoma e responsabile del medico. Infatti, l’applicazione acritica delle linee guida senza considerare le variabili individuali del caso può essere dannosa (JAMA 2005, 294/6: 716-724). Quindi, secondo il codice deontologico, la prescrizione del medico deve essere orientata prioritariamente alla tutela della salute psicofisica dell’assistito (art.3), il medico deve denunciare all’Ordine dei Medici ogni contrasto rilevato tra norme deontologiche e eventuali altre disposizioni limitanti la sua attività (art.68) e i Direttori Sanitari hanno il dovere di garantire il rispetto delle norme deontologiche (art. 69). Spetta alle Direzioni Sanitarie effettuare i dovuti controlli sulla correttezza dell’organizzazione sanitaria delle ASL, come afferma anche l’art. 40, comma 2 del codice penale : non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
In caso di contenzioso tra ASL e medico convenzionato, la competenza per il ricorso giudiziario spetta al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro secondo la decisione n. 51762004 del Consiglio di Stato sez. IV, previo tentativo obbligatorio di conciliazione presso la Commissione dell’Ispettorato del Lavoro locale. In caso di violazione di legge che costituisca responsabilità civile extra-contrattuale ai sensi dell’art. 2697 CC spetta all’ASL l’onere della prova certa di inappropriatezza delle prescrizioni di farmaci del medico, secondo la sentenza n. 992006 delGiudice del Lavoro del Tribunale di Pordenone.
(15/05/2012,  A cura di Mauro Marin, Esperto in questioni normativo sanitarie, Pordenone)

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